È curioso pensare al fatto che la parola “coach” viene dal nome di piccola cittadina ungherese chiamata Kocs, in cui furono costruiti i primi cocchi. Potremmo tradurre coaching con il verbo “scarrozzare”, perché il coaching è proprio un processo di facilitazione per portare l’individuo da un punto iniziale, fatto di sogni, aspirazioni, vincoli, opportunità, alleati, pericoli, paure, ad un punto di arrivo ha a che fare con gli obiettivi specifici concordati nel coaching.
Come? In genere una persona che incontra un coach ha con lui un incontro riservato, che può andare in genere da 50 minuti a due ore, durante il quale il coach fa domande e stimola riflessioni.
Ricordiamo che il coach non è un esperto, non ti dice cosa fare, ma cerca di aumentare la tua consapevolezza e ti stimola all’azione, al fare qualcosa di diverso.
Qualche definizione veloce per allinearci sui significati: Tim Gallwey nel suo The Inner Game of Tennis, 1974, presentò la sua idea: per massimizzare il potenziale di un individuo è più efficace facilitarlo affinché sia egli stesso a generare il proprio apprendimento, piuttosto che insegnargli qualcosa dall’esterno.
Performance = Potenziale - Interferenza
Il coaching, appunto, cerca di favorire l’espressione del potenziale, ovvero la performance individuale, riducendo l’interferenza, l’inner game appunto, e tutti i timori che solitamente ci trasciniamo con noi.
Per Whitmore, il padre del coaching, si tratta di un processo per sbloccare il potenziale individuale e massimizzare la performance.
Secondo la International Coach Federation (ICF, la più grande associazione di coach professionisti al mondo), il coaching è una partnership con i clienti che, attraverso un processo creativo, stimola la riflessione ispirandoli a massimizzare il proprio potenziale personale e professionale.
Vedete? Tutte le definizioni si basano sull’autosviluppo e sul potenziale.
In altre parole, sulla fiducia che ciascuno di noi abbia già in sé tutte le risorse per crescere. Il coaching è solo un catalizzatore per mettere a terra questo potenziale e trasformarlo in performance.
E con quali modalità si può avviare questo percorso di sviluppo?
Le modalità possono essere sono molteplici:
Sessioni one-to-one, sia di life coaching, che interviene sulla vita a tutto tondo del coachee, (il coachee è la persona sulla quale il coach interviene) sia di business coaching, nelle organizzazioni: il beneficiario è un dipendente e gli obiettivi sono legati alla sua performance. Il committente è l’azienda.
Il team coaching, è invece un intervento one-to-many che un coach rivolge ad un gruppo di lavoro per migliorare la performance collettiva.
Ma non è finita qui: quando a farlo non è un coach ma un manager che si ispira ai principi del coaching, ad esempio facendo domande ai propri collaboratori piuttosto che dare soluzioni o impartire comandi, abbiamo il performance coaching, dove manager cerca di migliorare il modo di lavorare del proprio staff.
Nel corporate coaching, invece, ci si occupa dell’organizzazione nella sua totalità, ad esempio per creare una cultura ispirata ai principi del coaching, per esempio utile in caso di cambiamenti organizzativi impattanti, lancio di nuovi modelli comportamentali o di una nuova mission aziendale.
Insomma, sono molti i motivi per i quali la scelta di iniziare un percorso a distanza più essere valida, così come molti solo i possibili ambiti di applicazione del coaching.
A te la scelta di quando iniziare!
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